La ricerca di Pippi Starace
(BolaffiArte N.36 Anno V Gennaio 1974)
Nel 1954 Luigi Montanarini scriveva di Pippi Starace:
"Chi conosce la misura dell'arte conosce l'arte e Starace ci dà la prova, con questi suoi quadri, di aver conquistato quella misura che al suo temperamento, alla sua sensibilità, alla sua fantasia sicuramente appartiene...".
L'intelligenza della misura estetica equivale dunque a possedere il segreto della naturale mimesi di sé nel fatto artistico, con la garanzia di una perfetta naturalità dell'espressione. Se questa asserzione, dialetticamente esatta, è vera, è da constatare che, nelle opere più recenti del Maestro di Lecce, assurto alla gloria della notorietà nazionale ed internazionale, un perfetto equilibrio domina ogni passata discrepanza fra intelletto e sensibilità, tra rigore e sentimento, tra potere del gesto e delicata grazia dell'immaginazione.
L'intelligenza di sé e del mezzo artistico non domina inoltre in modo caparbio o assoluto, come in certa produzione artistica attuale, la risultanza estetica, ma si fa mediatrice discreta e opportuna di un impegno, non solo espressivo ma etico, al raggiungimento di un'armonia della forma.
"Oggi - scrive Marcello Venturoli - il Pittore ha qualcosa in più, una invidiabile freschezza, una più trascinante fantasia, quasi che la sua problematica acquistasse una destinazione più alta, si riscattasse con un fine diverso".
In effetti, possiamo dire che nelle opere recenti di Starace, dove bellezza e verità artistica si fondono ad un alto livello d'intendimento estetico, ogni sentore di problematica necessità scolastica (che conduceva il Maestro alla scelta di sintetici modi post-cubisti) viene meno di fronte alla misura acquisita di una figurazione estremamente personalizzata, vibrante di conquiste interiori, quali una perfetta adesione simbolica dell'immagine ai suoi contenuti poetici e una interpretazione in chiave inventiva dell'iconografia dell'immaginazione e dell'inconscio.
Da un dipinto d'una decina d'anni fa, che citiamo a caso, "Canzone d'amore", si passa al più recente "Ninfa n. 2" o addirittura a "Icaro" ch'è uno degli ultimi dipinti, in cui la linearità e financo la stereometria della struttura spaziale dà luogo ad un'araldica disposizione delle campiture in un tessuto spaziale ch'è tutto inventato, quale caleidoscopico sedimento d'immagini appartenenti non più all'intelletto, ma alla sua metamorfosi in chiave di esistenzialità lirica.
II Poeta all'affannosa ricerca di se stesso ha scavato nella memoria e nell'inconscio la peculiarità di uno stile che gli appartiene, che ora è inconfondibilmente suo - alchimìa della tecnica e sicura coscienza estetica - per restare nella storia. Nella storia di questa pittura italiana che prende quota, nei dopoguerra, dalla conoscenza dell'avanguardia già storicizzata e la rivolge, attraverso un'ideale venturiana misura del gusto, all'acquisizione di una interiore moderazione, presupposto per successivi sviluppi in chiave di specificazione personale.
Dipinti appartenenti a questi ultimi anni o addirittura agli ultimi mesi, come il citato "Icaro", "La nascita di Venere" n. 1 e n. 2, "Chiaro di luna", "Amadriade n. 2" ecc. danno il senso di una pregnante consapevolezza, da parte dell'Artista, dell'energia espressiva derivante dalla individuazione sia di taluni patterns visivi a lui peculiari, sia dalla preservazione di altri elementi di fondo, costitutivi di un substrato più propriamente poetico e lirico dell'Autore. Appartengono a questi ultimi da una parte quella che R. M. de Angelis nel '67 assai acutamente chiamava "aura metafisica di un clima antico", che l'arcaica immobilità delle immagini e infine nella larghezza dell'impostazione figurale nello spazio. Elementi tutti che, per la più larga e approfondita coscienza della loro peculiarità da parte dell'Artista, ci dicono di una sua sostanziale maturazione verso i cieli d'una individuazione sempre più riconoscibile e personale.
Sandra Giannattasio