Commentario di Alfonso Gatto

1975

Eclissi

Eclissi

Ragazzo del sud

Ragazzo del sud

Pescatore con lampara

Pescatore con lampara

Ragazza e luna

Ragazza e luna

Sole e mare

Sole e Mare

Albero sole n.1

Albero sole n.1

Albero sole n.2

Albero sole n.2

Donna di luna e fiori

Donna di luna e fiori

L'attesa

L'attesa

Icaro

Icaro

Susanna

Susanna

Il "dentro" e il "fuori" della natura, nel ritrattarla inseguendone il capriccio e l'avventura segnica, nel penetrarla, lasciandosi fermare e trattenere dalla sua organicità e dalla sua struttura, è per un pittore, nella vicenda stessa del suo "fare", una dialettica sempre aperta a provocargli l'istinto e la meditazione, la testimonianza esistenziale e il più riposto anelito compositivo. Si può dire che tutta la vita e l'opera di Pippi Starace rispondano a questa interiore libertà.

Da buon mediterraneo, Starace è segnato anche fisicamente dalla sua presenza nel mondo della luce e dei colori, dalla gioia di immergersi nel suo liquido e di sgrondarne, di emergerne, e, ancor di più, inteso a confondere questa sua curiosità penetrativa e a analizzarla.

Dalla luce piena al colore, la sua vicenda. è anche in questa scomposizione e in questa ricomposi!zione dell'iride: il suo particolare neo-cubismo passato nelle veline proprie di un Melli e, ancor più a monte, di un Mafai e della Scuola romana, è all'origine un sole mitico che risale all'orizzonte, immediatamente dallo stesso punto in cui scompare. Siamo in un cielo iperboreo, nella stagione di un sole eterno, in cui la stessa evidenza è mitica, e la realtà irreale quanto gli occhi che vedono la luce rifarsi unita dal suo spettro di sghembature e di proiezioni colorate.

Dirò che i pittori mediterranei come Starace hanno negli occhi, ove questi si siano fatti r;ibelli al chiaroscuro e all'ossessione narrativa nel disegno, la meraviglia per le magìe fatue che passano improvvise nel rapido ventaglio dei colori.

Nel proprio' inseguirsi, intersecarsi e fondersi, i colori rendono visibili, in valichi sempre più lievi, le trasparenze del creato e le animano quali presenze ambigue e labili in perpetuo divenire. Il "dentro" e il "fuori" di cui si parlava si son fatti permeabili attraverso la pittura e combaciano nella naturalezza dell'evento. Il visibile è tutto quello che il pittore crede di vedere e di cui trascura la verosimiglianza. Se mai potrà esserci sorpresa, questa è data dal suggerimènto della forma, più che dalla sua definizione. E sorpresa è che il disegno, nella fusione tra figura e ambiente, ne esca più definito e energico, tale da fissare l'immagine e da moltiplicarne gli aspetti.

Passare da una realtà ultrasensibile a una realtà intellettualmente costruita sulle risorse di una magia post-cubista, è stato per Starace anche un modo, e forse il modo, di ritrovare per altra via, in un rigore più caratterizzante e singolare, i punti fermi del suo naturalismo, quali segni di riconoscimento e di identificazione per soggetti così traslati. E' infatti riconoscibile nelle opere mature del pittore, le stesse sulle quali si è ampiamente fermato di discorso critico di Marcello Venturoli (indubbiamente il miglior saggio sull'artista), una più stretta aderenza alla realtà visiva. E' proprio sul rischio della dispersione astraente che vengono a consistere e a "tenere" gli addentellati e le chiavi di un riconoscimento ancora naturalistico.

Una pittura, quale è questa, configurata attraverso gli anni dalla provocazione di poetiche e di gusti così contraddittorii, ma tutti intesi a far proprie le inquietudini e le feste visive della contemporaneità, ha dentro di sé gli allarmi di sapersi e di vedersi dedicata a una comprensione immediata che sia la ragione stessa del suo apparire. Il "mito" di Starace è l'alto fine decorativo ch'egli vuol raggiungere, e, in questo obiettivo, è anche l'atto di consacrare e di mettere in opera un mestiere, tutt'uno col potere dell'immaginazione che inventa le sue maschere oniriche e esterrefatte. Lo scoperto insistere delle campiture, sferiche e della convenuta geometria post-cubista, lo ha portato a idoleggiare un dialogo tra piccoli e grandi mondi, tra il rimbalzo del gioco e la mirifica sospensione dei pianeti, come in "Eclissi" o in "Ninfa rossa" in "Amadriade N. 2" dove l'affacciarsi impetuoso e estatico dei volti ha una fissità chimerica ancora significativamente, umana.

Forse, a guardare questo mondo, è il segreto incantato "Ragazzo del Sud", del '69, la testa appoggiata alle braccia stese sul vano del muro. Il discorso metaforico e metamorfico di Starace, del resto, non sfugge mai a questo valore di corrispondenza che è, nelle cose e nelle figure, lo specchio della loro attonita naturalezza.

In un affresco molto fascinoso, quale "Pescatore con lampara" del '63, l'ardito attacco del nudo metafisico e reale insieme al fanale tanto più grande di lui, nell'atto forse di sollevarlo, è, più che un'immagine di sé forte e slogata, una vera propria "situazione di forme", compenetrate a significare l'espressività geometrica del contesto pittoricamente essenziale e sicuro. Così, in "Ragazza dei trulli" del '68, la rastrematura ideale e limpida delle architetture e il corpo tutto aderente della donna che continua le linee veliche dei triangoli, hanno il giusto peso dell'equilibrio che li definisce nella mutua sospensione come un dialogo.

"Ragazza del porto" del '71 e "Ragazza e luna" dello stesso anno, tendono anche esse; nel puro sigillo del volto accerchiato dall'umana fattezza, all'incanto dell'immagine culturale che idoleggia la nuova grazia dell' "antigrazioso", ma già sugli echi di un Klee passato attraverso Saetti: tuttavia è di Starace la risposta al loro estatico fissare, nei quadri venuti dopo o immediatamente vicini nel tempo, da "Sole e mare", a "Donna di luna e fiori", a "Figura con fiori", a "L'attesa".

Il contemplatore ne è contemplato, le immagini si rispondono nella fissità esigente e ultimativa. Gli sviluppi di Starace sono, oltre il suo fecondo pittoricismo, nella dinamica di un evento immaginoso in cui, all'altezza di un'estasi mentale che giunge a fermarsi, viene a consistere e a durare una nuova naturalezza della parabola pittorica, come in "Albero del sole N.1" e in "Albero del sole N.2".

"Pastorali", sono state giustamente definite le due opere, ma senza altro racconto che non sia quello dell'elementare partitura in cui vengono a raccogliersi e a definirsi gli' spazi significanti di questo arcaico primitivismo.

Anche se, dall'affacciarsi improvviso di "Susanna", dal suo forte allarme, s'annunciano altre meteore precipitose, quali "Icaro" e "Nascita di Venere", è la quiete delle allegorie e dei simboli planetari a fissarsi nell'estatica, attesa della nuova pittura di Pippi Starace, forse per un vangelo che gli discorra immobilmente della sua pace edenica o di una apocalissi che gli metta a soqquadro il quadro per nuove energie , dirompenti e conflagranti nella luce. Certo, tra il "dentro" e il "fuori" della natura, dallo istinto alla meditazione, Pippi Starace non può sfuggire alla sua forza caratterizzatrice, al suo segno dominante. L'ampiezza compositiva, anche nelle piccole e nelle medie dimensioni dell'opera, gli accende la colorazione. La pittura, quale esperienza continua e culturalmente avida di bruciare, non gli risparmia la tentazione di tutte le sue prove: Ma, oltre l'espressionismo realistico della sua natura meridionale, c'è per Starace, questa sua educata vocazione tonale, i cui rapporti, quanto più labili e sovrapposti e intersecati e cangianti, tanto più rendono disperante e insieme promessa la composizione della sua naturale dialettica di pittore.

Albero combusto

Albero combusto

Maovaz lesse bene in questi quadri, con parole che meritano la citazione: "Sbrigliato o chiuso in una serie di rapporti tonali, il colore è in Starace elemento importante ed il suo alto senso artigiano sa trarre persino dall'affresco sonorità cromatiche invero inusitate. Certi gialli che vanno dal freddo zolfo al succosoo girasole, si mescolano agli aranci si sbiancano come la pietra leccese sino a giungere quasi: all'abbacinante tondo solare...".

Guardate "Albero combusto" del '70. Può essere il simbolo di tutta l'opera pittorica di Starace: oltre il gesto romantico estremo c'è una forza arcaica di vita che afferma l'essere indomito di quella forma ancora bruciata dalla. sua tenacia figurale, ancora rinvigorita dai suoi spacchi. La giovinezza vive e attecchisce su questo fusto ed è la "Ninfa", albero e virgulto del mare. Nella pittura di Starace corre questa grande vena azzurra e sulle sue tele il sole non tramonta: è la fissità dell'occhio, il vento della luce che muove e sbandierala sua iride.

Alfonso Gatto