ANTOLOGIA CRITICA

LUIGI MONTANARINI (1954)

Con queste opere Pippi Starace mostra al pubblico romano una parte del suo lavoro. Un lungo, tenace ed assiduo lavoro in molti anni di cammino attraverso le tappe del "gusto contemporaneo" per misurare a se stesso la propria realtà di artista e per giungere alla chiarezza della propria visione. Dal Futurismo al Novecento dalla Scuola Romana al Postcubismo di oggi si svolge questo percorso spirituale e di realizzazioni pittoriche dal quale sono nate le opere, alcune delle quali qui esposte.Opere dove l'evidenza della ricerca non è meno chiara di quanto non sia la fedeltà a se stesso e la decisione di non perdersi.

Dal "ragazzo e marionette" del 1946 al "Gallo" del 1953 si svolge e si forma attraverso il paesaggio "Fiumicino", le "Venezie" per graduale conquista, il linguaggio plastico dell'artista.Dal "gusto tonale" del primo al postcubismo del secondo, si possono esaminare gli schemi, le variazioni, i passaggi nello sviluppo di questa pittura. Il suo è sempre un andare e venire dalla annotazione di un elemento vero, (cielo, nudo, mare) alla trasfigurazione nel senso monumentale. Non per nulla la passione del pittore e la sua vasta attività di pittura murale.

Non mero fatto tecnico, ma fatto d'arte rispondente alla esigenza interiore di manifestare sentimenti che solo si possono esprimere attraverso quel precipuo linguaggio caratterizzato dalla ampiezza degli spazi colorati ed il ritmo di semplici ed ampie linee compositive. Chi conosce la misura dell'arte conosce l'arte ed il nostro ci dà la prova con questi suoi quadri di aver conquistato quella misura che al suo temperamento, alla sua sensibilità, alla sua fantasia sicuramente appartiene. Queste opere ci danno infine, il piacere di poter affermare, il nostro plauso per le tappe dal pittore raggiunte e ci confermano nella certezza degli sviluppi futuri del suo lavoro.

IVANOE FOSSATI (1954)

...La sua pittura è appoggiata sopra la potenza del disegno ed ha la luminosità delle nostre atmosfere viste nei momenti di maggiore accensione.

Nei suoi impasti prevalgono i rossi, gli azzurri e i viola, che risolve in una lirica. drammaticità. Pittura mediterranea, dunque, perché la poesia nasce più dal pensiero che non dal sentimento, meglio dal ragionamento che non dall'istinto.

Con questa mostra, Pippi Starace si pone senz'altro nel gruppo dei migliori pittori italiani e poiché nella sua piena maturità, ha davanti a se il tempo necessario per affermare la sua singolare personalità.

GIACOMO ETNA (1954)

...La sua pittura fra il 1946 e il 1950, era tutta un incendio, un allegro falò in cui bruciavano porpore e piviali d'oro; ma a poco a poco è andata rasserenandosi, componendosi nella chiara armonia delle cattedrali romaniche, nella grazia delle architetture che ritagliano il cielo coi ritimi di Euclide.

E sono comparsi gli smeraldi delle seminagioni, i bianchi delle case che si tagliano nitidamente contro l'azzurro, le cabine che si inquadrano sulle spiagge tagliate dalla luce ferma che isola le forme in una fissità statuaria...

BRUNO MORINI (1954)

...E' un pittore vissuto ad occhi aperti nella piena corrente della vita artistica contemporanea, con le cui varie esperienze ha inteso volta a volta confrontare la sua personalità. Lo vediamo nelle opere qui esposte trascorrere dal tonalismo al post cubismo, dalle suggestioni di Mafai a quelle di Guttuso e di Matisse, ma sempre con indipendenza ed autorità di artista genuino, che nelle cadenze del secolo: modula un proprio discorso.

Un senso del colore caldo e raffinatissimo, l'intuizione di una plastica altempo stesso essenziale e morbida (vedi i bei. nudi della Conversazione modellati nei riverberi di luce verdina con così nobile sensualità e rilevati dall'agro tono del cuscino) lo raccomandano all'attenzione più sofisticata.

MICHELE BIANCALE (1956)

Nell'antefatto della pittura di Pippi Starace non si rinvengono opere tali che possano meravigliare per la diversità con quelle posteriori o propriamente attuali. Il suo pervicace realismo non è cosa di oggi; e perciò non è un fatto polemico o programmatico. Egli ha sempre creduto all'efficacia del figurativo. Soltanto che, col progredire delle sue esperienze, con la pratica delle pitture murali, col meditare sul carattere della decorazione pittorica Starace ha variato ed arricchito il vecchio modulo, rinnovandolo proprio nel colore, dapprima fuso e di registrazione, e poi nella composizione, dapprima.circolata e chiusa.

Il realismo di Starace non prende il suo avvio da una situazione occasionale ed esteriore. E perciò non è mai aneddotico. Si, troverete qualche operaio, qualche macchina, qualche gesto legato ad un'azione controllabile; ma generalmente egli compone utilizzando una somma di motivi elencati nel quadro in una sintassi nuova. L'apparente ripetersi di motivi denota, invece, il gusto di variare per arrivare alla redazione definitiva. Via via la sua composizione è diventata acerba, piatta, angolare e il colore, se ha perduto di tono concezionale, è diventato ricco di luce, nei suoi verdi, nei suoi blu, nei suoi rosa. Nella serie di tempere grasse avvertite una materia più respirante e sfrangiata; in cui il motivo si assesta con maggiore aderenza, in un risultato cromatico quasi prezioso; ch'è raro in Starace che mira assai. più alla composizione che alla bellezza del colore. Ma nei paesaggi, nei quali l'impulso a comporre non dirò che s'allenti ma s'accompagna con la resa atmosferica e con la luce; il suo colore è sempre di qualità alta, trasparente e di tono ricco. Si osservino qui i paesaggi di Ventimiglia.Fedele ad un presupposto disegnativo che regge le sue composizioni anche le più ardue egli chiude le forme con un segno grosso che sarebbe molto piaciuto a Degas.

Ciò che non lo porta, d'altronde, a schematismi superati; ma a caratterizzare fortemente i suoi motivi, che ritornano, come se Starace non si stancasse mai di rimeditarli, e a caratterizzare certi tipi specie femminili. Notate la bellezza dei suoi volti di donne: qualcosa di sereno e di placido, e insomma di italico, nei grandi occhi e nei larghi piani. Una tipologia in cui l'etnicità vige ma come un ricordo dell'antico.

FRANCO MIELE (1956)

...L'artista ama penetrare nella profondità delle cose, per raggiungere preziosità particolari. Senza cadere nelle vibrazioni sgargianti, si preoccupa infatti di dare risalto ad una elaborata ed accorta armonia di tinte soffuse di luce, di immediata e comunicativa resa pittorica. Nelle tempere grasse è dato il constatare con quanta perizia e sentimento l'artista riconfermi le specifiche capacità già dimostrare nella trattazione di impegnativi lavori murali.

GIUSEPPE SCIORTINO (1956)

Non è, in sostanza, un appunto quello che facciamo a Pippi Starace, se ricordiamo che, nel suo più che ventennale lavoro, egli ha sentito di doversi appoggiare, di volta in volta o contemporaneamente, alle correnti varie del tempo (futurismo, cubismo, astrattismo, scuola romana, neorealismo); anzi ciò va considerato indice di un'attenta e curiosa sensibilità alla quale non è mai sfuggita la tendenza più viva di una data epoca. Questo diciamo perché oltre all'esplicito o implicito riferimento Starace pittore, nel suo continuo farsi, ha via via scoperto e reso efficienti alcuni singolari aspetti di una sua personalità sempre sul punto di esplodere; e che comunque non ha mancato di offrire assaggi gustosi o addirittura di dare, a volte, dei frutti saporosi.

Perciò ci sembra illegittimo ancorare Starace al realismo; anche se "La Famiglia del pescatore", opera esposta dall'artista in una sua recente mostra personale a Roma, possa darci torto. Poiché in quella mostra, che ha contribuito ad accrescere la fiducia verso l'espositore, figuravano soprattutto opere dai motivi ottimamente sviluppati e dalla cromia rassodata (il colore sempre meno illustrativo e l'impegno sempre più propriamente pittorico).

Citeremo, come esempio, "Maternità" dai colori fusi; "I galli", non soltanto estrosi; "Case a Ventimiglia vecchia" e "Trulli di Alberobello", nei quali i colori vibrano riccamente con una spontaneità che la tempera grassa ha saputo forse derivare dall'affresco.Incisiva, linearmente caratterizzata, è la più recente pittura di Starace; le esperienze molteplici da cui provengono i suoi modi espressivi si debbono intendere ormai sufficientemente superate: Starace, in altri termini, va liberando da estranei involucri il suo essere che non è più embrionale.

Ed è per questo che il suo dipingere, i problemi che operando pone, i quadri che realizza ci interessano. Non ci meraviglieremmo se, dall'oggi al domani, dovessimo trovarci in presenza di una rara e robusta personalità.Essa si annunzia in certe espressioni estatiche di volti di donne, nello spontaneo emergere del ritmo che non è soltanto disegnativo ma è anche cromatico, nell'evasione dal vero denunciata dalla continua modulazione di paesaggi e di architetture, nella serena e quasi fiabesca rappresentazione di alcuni luoghi a lungo osservati e studiati.

Ed è evidente, l'accennata serenità fiabesca, in opere come "Mucche", legata a dati stilisticamente decorativi; in "Paesaggio leccese" e in "S. Francesca Romana", di più scandito linguaggio pittorico. Mentre in "Lago di Como" abbiamo un impegno di natura piuttosto impressionista.Questi i pregi e i difetti, il dare e l'avere, gli esiti e le cadute riferibili all'opera di Pippi Starace; ed a noi sembra una strada, la sua, che una volta, imboccata, bisognerà percorrere con vigorosi propositi.

VIRGILIO GUZZI (1956)

... Salta agli occhi il suo ripetuto accordo di verde freddo e rosa violaceo; e la tendenza, nelle figure, ad una ritmicità d'impianto classico e monumentale... I Trulli di Starace, infine evocano con asciutto, spedito stilee un folclore famoso e misterioso; una realtà antica come le favole d'oriente.

FRANCO SOSSI (1957)

... Accanto alla solidità dell'impasto Starace pone una buona impaginazione, una sana concezione del colore che lo accompagna in ogni sua opera che, non discostandosi da quella della scomposizione della realtà che affligge le menti di troppi artisti, ne dà, tuttavia, una versione soggettiva...

VITO APULEO (1958)

...Altre volte avemmo l'occasione di sottolineare di Pippi Starace l'inevitabile influenza che la lunga dimestichezza con la pittura murale esercitava in lui allorché affrontava il tema da cavalletto: ma questa sua personale al "Vantaggio" s'impone alla nostra attenzione proprio per questa sua qualità di continuità stilistica in rapporto ad una propria visione architettonica che risulta oggi riscattata da ogni impaccio strutturale inteso nella funzione limitativa che quell'influenza poteva determinare.

Da queste ultime tele la tavolozza risulta rinsanguata da una nota viva di colore che diventa atmosfera piacevolmente ambientata in quella costruzione compositiva che mantiene sempre un suo ritmo di struttura post cubista come impostazione stilistica e di derivato tonale come esperienza cromatica, ma attraverso la quale l'artista dimostra di aver raggiunto una maturazione ed una evoluzione...

LORENZA TRUCCHI (1958)

...C'è in Pippi Starace una doppia natura, l'una più classica e rigorosamente speculativa, l'altra più romantica, sentimentale ed effusiva. La prima, espressa da un disegno solido e architettonico di derivazione cubista, la seconda affidata ad un calore trasfigurante di derivazione espressionistica sensuale e lirico. Ma non si tratta di un contrasto negativo e logorante che, anzi nelle ultime tele che il pittore espone, al Vantaggio è possibile constatare,come egli abbia ormai armonizzato e composto i due aspetti della sua personalità in. uno stile maturo ed unitario.

Notiamo inoltre che Starace ha un modo tutto suo di rendere le figure, quelle femminili specialmente, soffermandosi con poetica dolcezza sui volti che ama idealizzare come gli antichi.

Tra le cose migliori della personale il "Pescatore Pugliese", "La ragazza con la gabbia del canarino", "La darsena di Livorno" e due belle figure eseguite con un originale procedimento da affresco, una tecnica questa che ci sembra essere congeniale al pittore e che potrà apportare alla sua arte molti nuovi ed interessanti sviluppi.

VALERIO MARIANI (1958)

Far sì che, senza ricorrere all'illusione prospettica, gli oggetti abbiano un loro saldo volume e che questo risulti plasmato in un colore caldo, compatto e gustosamente efficace: trasfigurare insomma, un antico istinto realistico meridionale in una calma contemplazione sorretta da uno stile fermo, di geometrica essenzialità: questo è, in sintesi, il problema che Pippi Starace risolve in pittura raggiungendo, nella sua mostra attuale, una singolare pienezza di risultati.

Il nostro artista, che non è di coloro che contano sul successo dell'improvvisazione, ma di quegli altri pochi che credono fermamente nel quotidiano maturarsi dell'arte in una continua esperienza di mestiere e di gusto, ci ha offerto anche in passato, e soprattutto nell'ultimo decennio, frequenti esempi dell'impegno col quale si è andato successivamente liberando di preoccupazioni compositive e di complessità stilistiche per giungere alla sostanza stessa delle cose.

Egli ha l'animo d'un artista arcaico, consapevole della energia espressiva suscitata dalla immobilità delle immagini e dalla larghezza della loro impostazione nello spazio. Tra i pittori di oggi Pippi Starace è uno dei più coerenti e consapevoli: se, come è evidente, non ha trascurato la lezione del cubismo, questa, tuttavia, l'ha raggiunto quando già il suo gusto risaliva alla metrica dei quattrocentisti e, forse, più oltre, alla scultura italica: ecco allora qui davanti a noi queste recentissime tele dalle quali emana un riverbo purpureo di tramonto o che si intonano in verdi spenti accostati alle terre calde del Sud e che ci parlano tanto più intensamente quanto più prolungheremo la nostra attenzione, perché sono il frutto d'un rigoroso pensiero pittorico attraverso un cromatismo sedimentato e sapiente. I paesaggi, dalla veduta della darsena di Livorno a quello del Lago di Como, quasi idillico nella grande calma sospesa, le figure come il pescatore in blu e verde, cosa plastico e pure iridescente nell'effetto cromatico, la "ragazza con la gabbia del canarino" (motivo che si direbbe architettonico pur in un soggetto del genere) ci danno la misura dei sicuri raggiungimenti dell'artista.Ma forse ancor più nelle nature morte è possibile determinare il raro equilibrio che il pittore è riuscito ad attuare tra realtà e fantasia, costruttività e colore, fermezza plastica e calda emozione di fronte allo spettacolo del vero: in esse il disegno non esiste più di per sé, come descrizione grafica degli oggetti, ma ma sono i profili falcati delle cose che suggeriscono l'ambiente.

Un ambiente naturalmente circoscritto, ovattato, che non tende all'infinito, ma anzi ci offre le semplici forme come sospinte in primo piano.Per chi conosca, infine, il severo tirocinio di Pippi Starace, i suoi studi tenaci quando, quasi ragazzo, risalì la lunga strada dalla sua Puglia fino a Roma, e per chi lo ricordi nell'ambiente romano accanto a Scipione, quando dipingeva e disegnava all'Accademia libera del nudo, non sarà una sorpresa rilevare ancora, nella sua pittura, la permanenza di un problema essenzialmente "tonale" nel suo modo di intendere il colore, così come il grandeggiare delle immagini, che si riallaccia alla sua prima formazione. Ma il valore poetico dei suoi dipinti non nasce, per questo, da una allusione espressionistica, anzi sorge proprio. dall'opposto, dalla ricostruzione della forma, sia pure nel clima e nell'atmosfera sognante di quel colore.E', questa, una testimonianza assai confortante ai nostri giorni della piena validità di una arte che rifiuta decisamente il naufragio nella responsabilità creativa per affermare, invece, l'esigenza d'una forma che ci restituisce, attraverso l'opera dell'artista, la fiducia in noi stessi.

MARCELLO GALLIAN (1959)

...Pippi Starace il pittore dello spazio, come sul punto di perdere fiato, anelante oltre i confini dell'esistenza programmatica del quadro, consapevole da maestro della parte assoluta di un colore costruito, preparato con le sue mani, dosato a dovere nel terremoto degli oggetti messi dinanzi al sole. Il suo quadro è un campo oltre le montagne; l'aspetto principale e originale è quello proprio di un oggetto a mezzo cielo con una terra lontanissima; ... quando un uomo come Pippi Starace ha saputo rimanere in disparte portando ad occhio morale l'infinito che esiste dalla terra al cielo in una brocca, in un frutto, in una lampada, in una tazza e trasporta gli altri con potenza di verità fantastica a capire e a vedere tutto ciò che c'è sotto, oltre la stessa materia visiva, si può credere che non abbia lavorato invano.

GIUSEPPE ROSATO (1962)

...Così, si vedrà che la pittura di Starace, senza rinunciare a presupposti figurativi e disegnativi, si è aperta ad un ampio respiro, non solo quanto a concezione, ma quanto a ricchezza di luce, a impasto di colori, a plasticità di ritmo; soprattutto si è disposta a una labilità tutta moderna di composizioni e sovrapposizioni„ in cui cercare le parti è impresa impossibile, così come lo sarebbe voler raccapezzare e spiegare e decifrare la cangiante essenza di un mondo mai così tanto. tumultuoso, instabile, precario.

Questa "sensibiltà del tempo" ci pare, oggi, la categoria nuova da sottolineare nella pittura di Pippi Starace; poi che invero superfluo sarebbe rielencare il complesso delle sue tante e non mutevoli qualità, entrare ormai nell'acquisizione comune e indiscutibile sia del pubblico che della critica.

CLAUDIA REFICE (1964)

... La materia quindi entra nell'effetto totale, dando all'insieme un particolare valore. Sono paesaggi figure, nature morte in cui il colore, ben amalgamato in quella materia, giunge anche a sfumature preziose ed intense. Vi troviamo comunque, le vive tinte sempre preferite dal pittore, assai coerenti negli assolati paesaggi della sua terra: nei caratteristici "Trulli" negli scorci della piana leccese e della stessa bella città di Puglia.

BRUNO MORINI (1964)

... Segno e colore, ritmati a contrappunto, raggiungono un alto. grado di fusa armonia, è agevole seguire la naturale evoluzione d'un artista che non ha mai tradito né l'arte né se stesso, inserendosi e mantenendosi validamente tra i pittori più personali ed aggiornati. Basterebbero a confermarlo oltre quella più sopra citata, opere come "Ceglie Messapico" (con i due contadini che riposano); "Paesaggio leccese"; "La madre di Alberobello"; "Pesci rossi" e una piccola, deliziosa Testa femminile, nella quale, più ancora che nelle altre, sono evidenti i segni d'una pittura che ha decisamente allargato il suo respiro.

R.M. DE ANGELIS (1967)

Basterebbe "La camera degli sposi" (la sagoma nera dell'uomo contro quella bianca della donna), con quegli elementi decorativi, di memoria e di scavo, a imporre la pittura (intonaci ed affreschi) di Pippi Starace nell'aura metafisica di un clima antico, appena dissepolto dalla fantasia. Del resto il nostro è di Lecce, è favola della sua terra la pietra del barocchetto che vi predomina, la luce calcinata dei muretti che recingono gli orti di ulivi gli imprestano seguenze di bassorilievi in cui tutto è graffito da secoli, o almeno ripetuto nel segno emblematico di un passato memorabile.

Un sole che non emana luce è quasi sempre in alto dei suoi quadri disseccato come un'arteria; una patera che non espande suono e invece i colori rispondono e corrispondono in un intarsio a volte fastoso, a volte scabro che è una maniera diversa di comporre un elementare e delicato equilibrio di gesti. Sono figure, statue, adolescenti sorprese nel riposo, nel sonno, o in una levitazione che fa riverberare la realtà, la trasforma e l'irretisce in una specie di fosforescenza.

Il mestiere di Pippi Starace è quello di un tempo, tutto a vantaggio della tecnica: qui, di nuovo c'è il movimento, il ritmo che a volte è pura ricerca formale, in un gioco elegante. Tuttavia, appena la forma è scancellata dalla luce, dal ripetersi rituale di un gesto simbolico, la composizione assume quel taglio singolare tra il primitivo e l'ornamentale in cui, appunto, i motivi ornamentali stessi suggeriscono all'esumazione dell'intonaco quel timbro misterioso di opera incompiuta, che non è abbozzo e forse è residuo di un tempio, di una tomba, o di una necropoli.Frammenti di statue, sagome di strumenti, galli che irrompono con il grido stentoreo a far nascere il solesulla terra di Puglia, in cui mare, ulivi e luce si fondono in un mormorio strepitoso di rito pagano: la grande estate accade col ritorno delle barche, i limoni galleggianti accanto alle statue alla deriva... (E forse l'invisibile cicala tra le fronde degli ulivi è quella antica che ripeteva alle statue greche il verso monotono di Anacreonte).

SIGFRIDO MAOVAZ (1970)

... Ed è nel campo neocubista che dagli anni cinquanta in poi che Starace si muove in attente circospette, coscienti ricerche. Ma anche nell'iconografia, nei soggetti c'è una fedeltà di fondo. Ritornano periodicamente i cantieri ed i porti operosi, ritornano i fierigalli, le sue gustate casalinghe nature morte ma soprattutto i suoi ginecei dove statuarie donne memori dei perduti archetipi greci, attendono in una serena, solare rassegnazione il ritorno dell'eterno Ulisse.

Sbrigliato o chiuso in una rete di rapporti tonali, il colore è in Starace elemento importante ed il suo alto senso artigiano sa trarre persino dall'affresco sonorità cromatiche invero inusitate. Certi gialli che vanno dal freddo zolfo, al successo girasole si mescolano agli aranci, si sbiancano come la pietra leccese sino a giungere quasi all'abbacinante tondo solare, sono presenti e tipici di tutta la produzione di Starace ricordo di una infanzia trascorsa sotto un cielo terso e creatore di illusioni aurifere quale è quello della Puglia ultima propaggine d'Europa verso il favoloso oriente.

BRUNO MORINI (1970)

...E' un pittore vissuto ad occhi aperti nella piena corrente della vita artistica contemporanea, con le cui varie esperienze ha inteso volta a volta confrontare la sua personalità. Lo vediamo nelle opere qui esposte trascorrere dal tonalismo al post cubismo, dalle suggestioni di Mafai a quelle di Guttuso e di Matisse, ma sempre con indipendenza ed autorità di artista genuino, che nelle cadenze del secolo modula un proprio discorso. Un senso del colore caldo e raffinatissimo, l'intuizione di una plastica al tempo stesso essenziale e morbida (vedi i bei nudi della Conversazione modellati nei riverberi di luce verdina così nobile sensualità e rilevati dall'agro tono del cuscino) lo raccomandano all'attenzione più sofisticata.

VITTORIO SCORZA (1971)

...un armonico connettersi di segni i termini di una poetica in cui consumate esperienze di mestiere e avvivanti partecipazioni dello spirito scoperti influssi di cultura e ambientali suggerimenti s'incontrano e si compenetrano nell'equilibrio del costrutto e nel severo controllo del metodo.Una pittura questa di Pippi Starace, che la salda determinazione della didattica cubista e i dinamici, clamorosi modi della sortita futurista accende di toni romani e scalda di luce mediterranea mentre ne coordina le risultanti visuali in partiture che alla sobrietà terminologica dell'assunto uniscono la forza del concetto ognora alimentata dalla pienezza di un emozionale trasporto.

TOTI CARPENTIERI (1971)

La direzione in cui si svolge la ricerca pittorica di Pippi Starace è quella di analisi situazionale sull'uomo, intendendo con tale definizione il duplice aspetto dell'individuo, come singolo e come società; nonché il rapporto tra se stessi e L'ambiente. L'artista vuole andare a fondo nelle cose per giungere ad una particolarità descrittiva e non si ferma all'apparenza estetica ma va oltre nel raggiungimento di un giudizio sulla pluralità delle situazioni. In tale discorso è ovvio che la pittura pur restando profondamente tangibile e con un lessico recepibile con facilità si articola in una sorta di aspetti che vanno dall'allegorico al figurativo, al lirico ed al sentimentale.

A ciò hanno contribuito le esperienze varie e diverse, e le affinità istintive con gran parte della realtà artistica contemporanea; infatti anche se partito dalle ricerche formali direttamente filiate dal futurismo e dal postcubismo e pur avendo vissuto in un ambiente pieno di suggestioni violente ed emotive, Starace ha sviluppato il suo tema in maniera libera e genuina, pur conservando quella generalizzazione emozionale necessaria alla vita del quadro in una sua accettazione a più largo respiro.

Tutta la sua pittura si fonda su di un impianto disegnativo di notevole efficacia, ed in un alternarsi dei rapporti e delle figure costruisce le pagine di una sagameridionale sempre nuova ed effettivamente stimolante. Ma tra quelli che sono i motivi della pittura di Starace, uno mi affascina in modo particolare il tema della donna così ricco e sensitivo da vibrare nella cromìa oltre che nel segno. La tipologia ha qualcosa di antico e ci appartiene in maniera profonda; quei volti piani e dilatati, enormi superfici in cui specchiarsi e leggere i pensieri nascosti, con la loro serentà disarmante, negli occhi immensi come nel sorriso estatico.La giovane fanciulla abbandonata, con il capo reclino, ascolta una canzone d'amore sognando nel volto e galoppando con il pensiero verso fantastiche mete. Ed il sentimento e la vibrazione sottile la emana anche una strana materia, grumosa e tangibile, quasi procedimento di affresco; ogni cosa trasuda un calore profondo, sensuale, anche quando il tema è il classico olivo contorto di. una Puglia che si agita e freme. Una cultura profonda si nota in tale alternanza e la, costruzione volontaria si muta nel raggiungimento di ul rapporto di immagini piene di luce ed in cui trionfa lo spazio. E con ricchezza di umori, Starace continua a narrare la sua storia mediterranea.

ENNIO BONEA (1971)

... Starace ha offerto agli ammiratori d'arte leccesi una mostra di livello molto alto, allestita con squisita accuratezza dalla Galleria "La Giara". Nei suoi numerosi quadri si possono rilevare tutte le incidenze della sua formazione e della sua lunga pregevole carriera: gusto del dolore; eleganza compositiva; equilibrio di piani strutturali e figurazione; disegno della figura e risultati extrafigurativi.

Quando l'occhio si ferma più attentamente sulla superficie dipinta, solo una volta vi riconosce l'olio, poi negli altri quadri avverte una specie di pellicola incrostata sulla tela e in alcuni tra essi questa crosta lavorata in un piatto rilievo: è la tecnica dell'affresco, trasportata su tela con l'aggiunta di misteriose colle e cere che rendono l'opera inattaccabile dagli agenti atmosferici...

MARCELLO VENTUROLI (1973)

...Ed eccoci in medias des del, discorso di Pippi Starace, "ninfe" e "donne di luna", personaggi nuovi nella sua pittura, perché sono una sintesi di tutto il suo mondo umanistico, mitico e femminino. Non più donne in riposo o giacenti come nei quadri prima del 1970, non più giovinette di estrazione popolare, e contadina con la mano alla guancia, sedute. in contemplazione della luna, piccoli totem della vita quotidiana, coe per esempio "Ragazza del porto" e "Ragazza e luna", ma simboli, anime, personificazioni pittoriche di un avvenimento, di un trapasso, di una folgorazione. Sono visi di luna, di soli, dalle fattezze geometriche incise come su uno scudo, che svettano a trofeo ("Ninfa N. 1") o trascorrono nello spazio come comete (" Ninfa N. 2") e che non si possono leggere nella misura, di una emozione da fuori a dentro, di una pura interpretazione della realtà; piuttosto, invece, nella misura 'di una immagine che non esiste nella realtà sen sibile e che la realtà sensibile cui l'artista si affida tuttavia nel suo rapimentoriesce alla fine a materializzare.

Sono opere che non si spiegano fuori del loro ritmo, di quel bruciare, passar oltre lo spazio della tela. E così la bellissima "Ninfa N. 2", una Amalassunta e non mi pare irriverente citar qui Licini, pur così lontano da Starace nella sua officina tutta astratta intrisa di reale, chiomata di piante, carica, ma non imbarocchita, della presenza del verde: perché non cè solo verde botanico, del resto, raro e come archeologico, da quei toni gravi di malva, c'è un alone di luce d'oro che equilibra le sue sfere volanti della testa e, diciamo così, del corpo: un mistero affettuoso, un sorriso, che è anche superamento sentimentale.

Tra i più tipici dipinti di Pippi Starace è "Donna di luna e fiori" per la gremitura quasi vetrina della materia, tenuta in scansioni di cromie verticali, terra bruciata, rosso pompeiano, avorio e per l'insorgenza di quei rari fiori, le strelitzie, che vestono il profilo della donna e lo presidiano come per una cerimonia che non conosciamo, per un rito che sa soltanto di compiere la natura. Certo qui l'artista ha lasciato alle spalle le sue eleganze umanistiche, i suoi compiti di solerte e immaginoso artigiano dell'immagine figurale; e non spartisce l'incanto di questa visione con nessuno: nè con i parnassiani e sessuati ginecei in calze rosse, nè con le pupe cresciute, in compagnia di damerini in cappello di panama, nè con le modelle dai visi di violetto deliquio, i seni tagliati da, reggipetti come spaghi, dentro atelliers al blu di Prussia...

GINO GRASSI (1973)

...Non dobbiamo dimenticare che ci troviamo di fronte ad un pittore che usa i suoi potenti mezzi linguistici con sperimentata bravura e sa esattamente (cosa che accade a pochissimi) cosa chiedere alla propria capacità narrativa.

Prendiamo, ad esempio, il dipinto "Canzone d'amore". In questo quadro che Starace ha elaborato con grande maestria c'è il meglio della pittura cubista. Quest'opera ha la forza di grandi precedenti ma è stata composta dal pittore nel 1963. E cioè bellezza senza originalità. Potremmo citare anche molte altre composizioni, di notevolissimo livello, che l'artista pugliese ha presentato in questa personale napoletana. Ciò conferma che Starace fa dell'autentica pittura. Il saper dipingere non è di tutti: ci sono degli avanguardisti che mostrano, tecnicamente, de faillances notevoli, anche quando non mancano di originalità. Certo in Starace non c'è molto interesse per una tematica dell'esistenza in chiave moderna, (e, in questo, si registra una identità tra il sentito ed il dipinto). Il pittore pugliese cerca di rifarsi ad un mondo mitico in cui il giuoco dei sentimenti è dominato dalla natura e non dalla ragione. Ci troviamo quindi di fronte ad un artista di tutto rispetto che condensa nella propria opera il meglio della grande pittura di questo secolo e che tenta una osmosi tra le ragioni dell'intelletto e quelle dell'istinto. Un artista che piace ai più anche per il grande mestiere.

PAOLO CASTELLUCCI (1973)

Se è vero che il punto di incontro dell arte, o meglio, del fenomeno artistico, visto attraverso le sue molteplici e plurisignificantii ramificazioni di linguaggio, con il mondo esterno, si identifica nel quoziente dato dal rapporto fra le componenti formali e le componenti narrative, fra ciò che è formulato, vogliamo dire, e ciò che è espresso, nei confronti della realtà corrente, sembra ovvio chiederci fino a quali livelli e limiti dialettici, la pittura di tipo marcatamente figurativo, possa comunicare, ferma restando, non nell'area statica della tradizione, si badi bene, ma nello stadio ottimale dell'ordine estetico, al di sopra della sfera, spesso forzosa e inautentica della contemporaneità. A diversi gradi di scelte e di ricerche, il "far pittura" comporta anzitutto un'indagine obbiettiva, che pur sciolta dalle teorie sul bello, vale unicamente per il risultato riflesso dall'immagine: e questo risultato vive secondo una propria legge estetica. La risposta alla scomoda domanda, potrebbe insomma risolversi nella frase che togliamo a Mallarmé: "Ogni oggetto esiste in quanto noi lo vediamo... e in quanto rappresenta un nostro stato d'animo: il simbolo nasce da un insieme di dati comuni alla nostra anima".

Ecco dunque tracciata, per via breve, la linea di confine che separa i caratteri di una pittura a schema percettivo e sensoriale, estranei quindi agli incantamenti e alle fatalità della storia, da quelli racchiusi nell'ambito iconografico di una pseudocultura, a volte irretita dalla stratificazione del potere.

La rapida premessa, che non vuole paludarsi in modo alleluiatico, di fronte all'opera pittorica di Pippi Starace, cerca, al contrario, di trovare il contatto, fondamentalmente sereno, con un lavoro creativo condotto, di pari passo sulla magica scia del sensibile, verso quell' edenico approdo, dove si incontrano, per sotterranee metamorfosi, il tempo e lo spazio dell'uomo; gli impulsi, forse umani che nel tempo e nello spazio si eclissano e risorgono. Il vasto repertorio figurale del pittore leccese, tenuto costantemente saldo, in un arco più che venticinquennale di esperienze, fra le maglie di una elaboratissima materia cromatica, rotta di sequenza in sequenza, da improvvise folgorazioni, da accensioni, anzi, di rossi e di ocre di verdi e di bleu oltremare, cui risponde l'eleganza del disegno, mai sottomessa al dominio esornativo, si avvale, sin dalle prime mosse, di una attenta e amorosa osservazione della natura.

Un'osservazione, che lontana dall'atteggiamento contemplativo su questo o quello oggetto, su questa o quella, piccola o grande che sia, tranche de vie mondaine, mira alla scoperta (o alla riscoperta?), del mito come proiezione dell'inconscio, piuttosto che come emblema araldico della cronaca di tutti i giorni. Un mito solare, mediterraneo, in cui si avvicendano, filtrando dai loca amoena della fantasia, l'idolo dell'Eterno Femminino, quasi la presenza viva e astratta, insieme, della Sposa Eterna, e il tessuto, positivo o negativo, reale o sognato, delle apparenze. Le figure e lo scarno paesaggio, così, al pari degli "Alberi e Sole" e delle "Donne di luna e fiori", "di Luna e foglie", diventano forme e le forme trasmutano in simboli: simboli che richiamano alla mente gli aspetti semplificati di una recuperata infanzia delle immagini, che si offrono, occasionalmente, come esistenze straordinarie, irripetibili.

Ma poiché il viaggio simbolista è comunque, un divenire, Pippi Starace, non volge i suoi sguardi solamente nella direzione di una realtà traslata, segue, semmai, un'idea o una somma di idee, lasciandosi invadere da esse fino a raggiungere una sorta di verità privata, solidale con la propria fonte espressiva. In ogni caso, si tratta di una pittura limpida, controllata tela su tela, centimetro per centimetro, per non inficiare (sarebbero sufficienti pochi segni e colori discordi!), l'equilibrio delle architetture, che peraltro, e soprattutto, è equilibrio poetico completamente staccato da qualunque zavorra letteraria.

SANDRA GIANNATTASIO (1974)

Nel 1954 Luigi Montanarini scriveva di Pippi Starace:

"Chi conosce la misura dell'arte conosce l'arte e Starace ci dà la prova, con questi suoi quadri, di aver conquistato quella misura che al suo temperamento, alla sua sensibilità, alla sua fantasia sicuramente appartiene...".

L'intelligenza della misura estetica equivale dunque a possedere il segreto della naturale mimesi di sé nel fatto artistico, con la garanzia di una perfetta naturalità dell'espressione. Se questa asserzione, dialetticamente esatta, è vera, è da constatare che, nelle opere più recenti del Maestro di Lecce, assurto alla gloria della notorietà nazionale ed internazionale, un perfetto equilibrio domina ogni passata discrepanza fra intelletto e sensibilità, tra rigore e sentimento, tra potere del gesto e delicata grazia dell'immaginazione.

L'intelligenza di sé e del mezzo artistico non domina inoltre in modo caparbio o assoluto, come in certa produzione artistica attuale, la risultanza estetica, ma si fa mediatrice discreta e opportuna di un impegno, non solo espressivo ma etico, al raggiungimento di un'armonia della forma.

"Oggi - scrive Marcello Venturoli - il Pittore ha qualcosa in più, una invidiabile freschezza, una più trascinante fantasia, quasi che la sua problematica acquistasse una destinazione più alta, si riscattasse con un fine diverso".

In effetti, possiamo dire che nelle opere recenti di Starace, dove bellezza e verità artistica si fondono ad un alto livello d'intendimento estetico, ogni sentore di problematica necessità scolastica (che conduceva il Maestro alla scelta di sintetici modi post-cubisti) viene meno di fronte alla misura acquisita di una figurazione estremamente personalizzata, vibrante di conquiste interiori, quali una perfetta adesione simbolica dell'immagine ai suoi contenuti poetici e una interpretazione in chiave inventiva dell'iconografia dell'immaginazione e dell'inconscio.

Da un dipinto d'una decina d'anni fa, che citiamo a caso, "Canzone d'amore", si passa al più recente "Ninfa n. 2" o addirittura a "Icaro" ch'è uno degli ultimi dipinti, in cui la linearità e financo la stereometria della struttura spaziale dà luogo ad un'araldica disposizione delle campiture in un tessuto spaziale ch'è tutto inventato, quale caleidoscopico sedimento d'immagini appartenenti non più all'intelletto, ma alla sua metamorfosi in chiave di esistenzialità lirica.

II Poeta all'affannosa ricerca di se stesso ha scavato nella memoria e nell'inconscio la peculiarità di uno stile che gli appartiene, che ora è inconfondibilmente suo - alchimìa della tecnica e sicura coscienza estetica - per restare nella storia. Nella storia di questa pittura italiana che prende quota, nei dopoguerra, dalla conoscenza dell'avanguardia già storicizzata e la rivolge, attraverso un'ideale venturiana misura del gusto, all'acquisizione di una interiore moderazione, presupposto per successivi sviluppi in chiave di specificazione personale.

Dipinti appartenenti a questi ultimi anni o addirittura agli ultimi mesi, come il citato "Icaro", "La nascita di Venere" n. 1 e n. 2, "Chiaro di luna", "Amadriade n. 2" ecc. danno il senso di una pregnante consapevolezza, da parte dell'Artista, dell'energia espressiva derivante dalla individuazione sia di taluni patterns visivi a lui peculiari, sia dalla preservazione di altri elementi di fondo, costitutivi di un substrato più propriamente poetico e lirico dell'Autore. Appartengono a questi ultimi da una parte quella che R. M. de Angelis nel '67 assai acutamente chiamava "aura metafisica di un clima antico", che l'arcaica immobilità delle immagini e infine nella larghezza dell'impostazione figurale nello spazio. Elementi tutti che, per la più larga e approfondita coscienza della loro peculiarità da parte dell'Artista, ci dicono di una sua sostanziale maturazione verso i cieli d'una individuazione sempre più riconoscibile e personale.

TONI BONAVITA (1977)

Il panorama delle arti figurative si è andato negli ultimi anni facendo sempre più complesso. Cieli tempestosi si sono addensati all'orizzonte con rare schiarite e alcune luminosità che sono riuscite solo momentaneamente a rendere la visione meno tetra e drammatica. Abbiamo visto aumentare spaventosamente il numero di pittori, quadriplicare il numero delle gallerie e, purtroppo, abbiamo visto firme valide diventare soltanto una sigla commerciale, una specie di fabbrica personale di milioni che sforna quadri a ripetizione tutti eguali, senza inventiva, non eseguiti a volte neppure dall'autore ma "inventati" su schemi stabiliti da allievi od aiutanti di fortuna.

Con questo commercialismo divagante, da una parte unito a volte alla strumentalizzazione politica, ed infine all'invadenza massiccia di vari "sperimentalismi" di artisti stranieri dei ripetitori italiani ed infine dall'immenso numero di dilettanti, forniti di mezzi finanziari, che hanno cercato di far passare per arte le loro tele mal imbrattate, i pochi artisti autentici, genuini, veri, sono spesso rimasti nell'ombra. O perlomeno, trovato un loro equilibrio, hanno continuato quasi silenziosamente il loro lavoro senza preoccuparsi del clamore, senza cercare ad ogni costo di diventare un nome orecchiabile, una specie di merce di consumo, un prodotto al pari del frigorifero o del televisore. E' forse questo anche il caso di Pippi Starace, un artista che in tanti anni di lavoro ha oggi raggiunto una sua completa maturità e dei risultati veramente eccezionali. Leccese di origine, Starace proprio con una grande mostra a Lecce nello scorso anno ripropose all'attenzione dei critici e dei collezionisti il suo lavoro reso più interessante da nuove esperienze, diventato ricco di una tavolozza calda e corposa con stesure materiche di grande interesse. Le sue strutture di impostazione postcubista si sono fatte più fantasiose, la sua tematica si è allargata tra i limiti di una mitologia e di una realtà poetica.

Recentemente in una mostra romana abbiamo rivisto i suoi lavori: le opere più recenti che sono la migliore documentazione non solo della serietà di questo artista, ma degli obiettivi raggiunti. E sopratutto il mondo poetico di Starace che ci interessa, anzi il suo legame con una realtà pittorica che fa diventare poesia il colore puro, che fa vibrare certi accordi, che dà ai suoi rossi (il rosso, l'ocra, l'arancio sono i colori dominanti della pittura di questo artista) sino a fare considerare Pippi Starace una specie di inventore di mondi sognati di incanti mitologici dove la figura umana acquista valore emblematico: là il ricordo mitologico diventa fatto, inserisce in una realtà quotidiana, evoca momenti desiderati più che vissuti nella nostra esistenza. Per anni Starace impegnato in grandi opere murali sembrava quasi essersi allontanato (forse con un certo scetticismo verso la commercializzazione dell'arte) dal mondo delle mostre, che in definitiva costituisce ancora il mezzo di contatto più facile con il pubblico e con la critica; lo rivediamo oggi quasi con stupore.

Guardiamo la materia dei suoi quadri, la scomposizione delle figure, quel ritornare su certi accordi, su certi temi, certe tonalità: il mettere in evidenza i lati poetici della dimensione umana, il rapporto, la composizione delle figure, tutto questo costituisce per Pippi Starace un elemento inscindibile nel quadro ed in definitiva ne è la sua personalizzazione. Un'analisi dei singoli lavori sembra superflua perché questo artista a nostro avviso deve esser giudicato attraverso l'interezza della su opera. Il suo discorso si snoda logicamente nella tematica, nel cromatismo soprattutto nella materia di questi quadri ruvida, piena, corposa, quasi in rilievo. Egli tiene conto delle sue esperienze come affrescatore e mosaicista. La dimensione dei suoi quadri e delle sue opere murarie ci danno un indice della possibilità creativa di questo artista che vede i suoi temi svilupparsi nello spazio: così il quadro va oltre i limiti della tela, prosegue poeticamente nelle nostre visioni e nei nostri sogni. E questo è il regalo maggiore che un vero artista può fare all'umanità.